Uno studio internazionale di ampie dimensioni ha dimostrato che i pazienti con melanoma metastatico sono andati incontro a una riduzione del 63% del rischio di mortalità quando trattati con un farmaco sperimentale che ha come target una mutazione presente in circa la metà dei tumori.
Il trattamento con l'inibitore di BRAF Vemurafenib ha migliorato la sopravvivenza libera da progressione del 74%.
L’analisi della sopravvivenza globale a 6 mesi ha mostrato una differenza assoluta del 20% tra i pazienti trattati con Vemurafenib versus Dacarbazina.
Il follow-up è stato di soli 3 mesi, ma il rapporto di rischio ( hazard ratio ) di mortalità è stato di 0.37 a favore di Vemurafenib.
Il 40-60% dei melanomi cutanei hanno mutazioni BRAF che attivano a valle la via di segnalazione delle MAP chinasi.
Circa il 90% delle mutazioni comportano una sostituzione specifica nel codone 600 ( BRAF V600E ).
Gli studi preclinici avevano mostrato che Vemurafenib ha esibito una marcata inibizione di linee cellulari di melanoma con mutazioni BRAF V600E, ma non con le cellule con BRAF wild-type.
Studi clinici di fase I-II avevano fornito evidenze a conferma dell'attività di Vemurafenib nel melanoma BRAF-mutato. E’ stato quindi disegnato uno studio internazionale clinico di fase III condotto in 104 Centri in 12 Paesi.
I ricercatori hanno randomizzato 675 pazienti con mutazione BRAF V600 a Vemurafenib per via orale o a Dacarbazina per via endovenosa.
L'endpoint primario era la sopravvivenza globale.
I pazienti sono stati arruolati nel dicembre 2010, e un’analisi ad interim è stata effettuata nel mese di gennaio.
L'analisi ad interim ha mostrato una riduzione significativa nell'hazard ratio ( HR ) di mortalità tra i pazienti trattati con Vemurafenib ( P<0.001 ).
L'analisi per sottogruppi ha rivelato un effetto costante di Vemurafenib sulla sopravvivenza in tutti i sottogruppi prespecificati.
La valutazione della sopravvivenza libera da progressione in 549 pazienti ha prodotto un HR di 0.26 per il braccio Vemurafenib contro Dacarbazina ( P<0.001 ).
La sopravvivenza libera da progressione mediana è stata di 5.3 mesi con Vemurafenib e 1.6 mesi per Dacarbazina.
Al momento dell'analisi ad interim, solo troppo pochi pazienti erano stati seguiti oltre 7 mesi per consentire la costruzione di curve di sopravvivenza.
Tuttavia, la sopravvivenza globale nel gruppo Vemurafenib è stata dell’84% rispetto al 64% nel braccio Dacarbazina.
I ricercatori hanno potuto valutare la risposta del tumore in 439 ( 65% ) pazienti seguiti per almeno 14 settimane prima della fine dell’arruolamento.
La maggior parte dei pazienti nel braccio Vemurafenib ha presentato una diminuzione delle dimensioni del tumore, e il 48% ha avuto una risposta oggettiva confermata, tra cui 2 risposte complete.
Al contrario, nel gruppo Dacarbazina il tasso di risposta obiettiva è stato del 5% ( P<0.001 ).
Nel complesso, Vemurafenib è stato ben tollerato. I più comuni eventi avversi associati al farmaco sono stati gli eventi cutanei ( tra cui alcuni tumori cutanei secondari ), artralgia, affaticamento e fotosensibilità.
I tumori cutanei secondari, incluse alcune lesioni a cellule squamose, sono stati tutti asportati senza complicazioni.
Cambiamenti nel dosaggio o sospensione della terapia sono stati necessari nel 38% dei pazienti trattati con Vemurafenib.
Le più comuni gravi tossicità, riscontrate con Dacarbazina, sono state: affaticamento, nausea, vomito e neutropenia. ( Xagena2011 )
Fonte: The New England Journal of Medicine, 2011
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