Numerose evidenze supportano la correlazione tra cancro e trombosi: gli studi autoptici hanno documentato una incidenza anche maggiore, rispetto agli studi ante mortem, di trombosi venosa profonda ( TVP ) e di embolia polmonare ( EP ) nei pazienti oncologici rispetto ai pazienti non-oncologici; il rischio di recidiva della trombosi è più elevato nei pazienti con cancro rispetto ai pazienti senza cancro; infine nella popolazione generale, i pazienti con una trombosi idiopatica hanno un aumentato rischio di sviluppare una neoplasia fino a 1 anno dopo l’evento tromboembolico.
Nella popolazione generale l’incidenza annuale di un evento tromboembolico è di circa 117 casi ogni 100.000 abitanti.
La presenza di una neoplasia aumenta di circa 4 volte tale rischio, mentre, nei pazienti che
ricevono la chemioterapia, il rischio è aumentato di circa 7 volte.
Le alterazioni dei test di laboratorio dell’emostasi sono presenti in circa il 90% dei pazienti, mentre l’1-15% di loro sviluppa una trombosi sintomatica, che può variare dalla trombosi venosa profonda, che è tipicamente associata ai tumori solidi, alla sindrome da coagulazione intravascolare disseminata, più frequente nelle leucemie acute e
nelle neoplasie solide in fase avanzata.
Il rischio trombotico è ulteriormente aumentato dagli interventi chirurgici, dalla somministrazione della chemioterapia e dell’ormonoterapia, e dalla presenza di cateteri venosi centrali.
I primi dati clinici relativi all’incidenza del tromboembolismo venoso ( TEV ) nei pazienti affetti da tumori solidi derivano da studi eseguiti in pazienti affette da carcinoma della mammella.
Negli Studi NSABP-14 e NSABP-20, che hanno valutato donne affette da carcinoma della mammella con recettori estrogenici positivi e linfonodi negativi, l’incidenza di tromboembolismo venoso a 5 anni nelle pazienti che assumevano placebo, Tamoxifene o
Tamoxifene e chemioterapia è stato pari allo 0.2%, 0.9% e 4.3% rispettivamente.
Nelle donne con linfonodi positivi sottoposte a chemioterapia, l’incidenza riportata varia dall’1 al 10%; l’incidenza è risultata maggiore nelle donne in postmenopausa, soprattutto se trattate con chemioterapia e ormonoterapia concomitante. Indipendentemente dalla neoplasia di base, la maggioranza delle pazienti sviluppa un tromboembolismo venoso durante la terapia sistemica, sia ormonoterapica che chemioterapica.
I pazienti con neoplasia del tratto gastrointestinale, del polmone, o affetti da gliomi maligni hanno un’elevata incidenza di tromboembolismo venoso ( 10-30% ), così come i pazienti con neoplasie onco-ematologiche: il 10% dei pazienti con linfoma di Hodgkin o non-
Hodgkin sviluppa un tromboembolismo venoso.
Un rischio particolarmente elevato è stato riportato nei pazienti trattati con polichemioterapia in combinazione alla terapia antiangiogenica.
La Talidomide in combinazione con steroidi ad alto dosaggio e alla chemioterapia
con antracicline incrementa il rischio di sviluppare un tromboembolismo venoso nei pazienti con mieloma multiplo ( 28% ) e nei pazienti affetti da carcinoma renale ( 43% ).
Altri studi hanno evidenziato un rischio elevato di sviluppare trombosi venose e arteriose in pazienti con adenocarcinoma del colon-retto e nel carcinoma del polmone non-a-piccole cellule in fase avanzata, trattati con chemioterapia in combinazione a Bevacizumab, un anticorpo monoclonale anti-VEGF ( fattore di crescita dell'endotelio vascolare ) con spiccata attività antiangiogenica. ( Xagena2020 )
Fonte: AIOM, 2020
Onco2020 Emo2020