La chemioterapia intraperitoneale rappresenta un’interessante via per la somministrazione di dosi elevate di chemioterapici nei pazienti con tumore ovarico epiteliale poiché il tumore rimane confinato alla cavità addominale per gran parte della sua storia naturale.
I farmaci con modesta attività vescicante ed una lenta clearance dalla cavità peritoneale sono i più adatti per questo approccio ed includono il Cisplatino, il Topotecan ed il Paclitaxel.
I dati finora disponibili indicano che la penetrazione di questi agenti nei noduli tumorali peritoneali è verosimilmente limitata a millimetri o frazioni di millimetri, per cui questo approccio deve essere preso in considerazione solo in pazienti con volume tumorale residuo di piccole dimensioni, con singoli noduli non superiori al centimetro.
La terapia intraperitoneale presenta difficoltà pratiche, che comprendono le tecniche di inserzione del catetere, la prevenzione di infezioni e l’accettabilità della paziente, nonché la tossicità riscontrata in alcuni studi.
Le esperienze, riportate in letteratura, sull’impiego della chemioterapia intraperitoneale come terapia di prima linea dopo intervento chirurgico ottimale sono numerose.
Sono almeno 3 gli studi clinici randomizzati in cui è stato dimostrato un vantaggio clinico nell’uso del Cisplatino intraperitoneale versus la terapia sistemica ( HR 0,76 per la sopravvivenza globale GOG104/SWOG; riduzione del rischio relativo di progressione 0.78 per GOG 114 e 0.73 per GOG172 ).
Nonostante ciò la terapia intraperitoneale non viene ancora considerata uno standard proprio a causa della importante tossicità sia locale che sistemica osservata.
Esistono già evidenze in letteratura che con l’utilizzo del Carboplatino intraperitoneale è possibile ottenere una notevole riduzione della tossicità. Gli studi intrapresi in questo senso appaiono quindi incoraggianti ma necessitano di ulteriori approfondimenti mediante studi clinici.
Fonte. Lineeguida AIOM, 2007
Xagena2007
Onco2007 Gyne2007